L’arte del mosaico mi ha sempre affascinato!

Prima c’è il progetto, la bozza del disegno, e poi l’accostamento e l’applicazione dei tasselli di diverse forme, colori e materiali che passo dopo passo svelano l’atto creativo nella sua grandezza artistica. È così che immagino la vita: un “disegno” curato nei minimi particolari, un’opera d’arte che forse qualcuno traccia per noi, le scelte e le azioni che come dei tasselli, se ben posizionate, danno vita alla realizzazione della nostra missione d’anima.

Albero della vita: mosaico absidale della Basilica di San Clemente, Roma.

 

Come per incanto, se inizialmente non c’è consapevolezza, quando il disegno comincia a prendere forma ci rendiamo conto della direzione in cui vogliamo andare, ascoltiamo con più attenzione i movimenti che animano la nostra “casa”, così impariamo a esprimerci e a rivelarci al mondo. Ognuno di noi è dunque artista di sé stesso anche se dovesse esserci un disegno già prestabilito.

“Tutte le arti che pratichiamo sono un apprendistato di un’arte più grande:
la nostra vita.” M – .C. Richards

Ho sempre amato il teatro, non so esattamente perché, quello di cui sono certa è la curiosità e il mistero che quest’arte mi ha sempre suscitato, il fascino per la capacità e la disinvoltura degli attori di inscenare i personaggi e le loro emozioni.

Quando ero ragazza, all’età di 18 anni circa, mi ritrovai a mimare il mare davanti ad una commissione teatrale del Teatro Massimo di Palermo, il primo step di una selezione per un lavoro da comparsa prevedeva infatti di imitare i movimenti del mare in tutte le sue manifestazioni. Naturalmente non lo passai, non compresi che in realtà avrei dovuto esprimere le emozioni che i moti del mare possono evocare e mi limitai a dei buffi e goffi ondeggiamenti.

Non feci caso a quel provino, lo considerai come una semplice e casuale esperienza, continuai però a divertirmi travestendomi da “Trilli” in occasione delle feste per bambini e lavorando nei villaggi turistici con gli animatori.

Tutte le volte che andavo a New York avevo un pensiero fisso, immergermi nella magia di un musical a Broadway. Un giorno a Times Square, sotto una bufera di neve improvvisa, mi avvicinai a un tizio che sventolava al vento dei biglietti e urlava come al mercato della Vucciria di Palermo. Dopo essermi ritrovata al botteghino a trattare per il miglior posto in teatro con un perfetto sconosciuto alla modica cifra di 35 dollari, il mio sogno si realizza, il sipario del Musical Frozen si aprì e la magia si palesò! Dovevate vedere la mia faccia durante tutto lo spettacolo, non credo ci siano parole per descriverla.

Negli anni ho visto diversi spettacoli teatrali, ho anche portato quest’arte nel mio lavoro, il metodo formativo che ho ideato “Metodo Meraki e le 5 “C”” prevede infatti anche delle lezioni tenute da un attore e formatore di teatro. Sarà una coincidenza o parte del mio “disegno” se il titolo della sua lezione è “Il teatro e la vita”?

Per puro caso l’anno scorso ho cominciato a frequentare un laboratorio di lettura teatrale, un altro tassello si aggiunge e arricchisce il “disegno”. Qualcosa però è cambiato rispetto al passato, adesso c’è consapevolezza, il teatro farà parte della mia vita.

Il teatro ti insegna a vivere, ti strattona, ti scapiglia, ti catapulta in angoli reconditi della memoria e delle emozioni, ti spinge a relazionarti con te stesso e con il mondo che ti circonda, ti sussurra e ti urla allo stesso tempo parole forti.

Quale sfida mi sta invitando ad affrontare questa nuova esperienza?
Un fiore diventa un mazzo multicolore, un colore una tela dipinta, una parola un romanzo, un bacio una storia d’amore, una confidenza un’amicizia…questo è il modo in cui vivo le mie emozioni, il mio quotidiano. Come conciliare tutta questa passione con chi hai davanti, con chi tutto questo non lo vuole o si limita ad una formale risata o frase cortese seppur carina e sentita? Forse è esattamente questa la mia sfida!

Chissà, forse un giorno raccoglierò i testi scritti dai compagni d’avventura del laboratorio e racconterò un pezzo di storia di ognuno di loro. Il mio amore per le storie e la scrittura è incontenibile, talmente tanto che di recente ho inserito un corso di scrittura immersiva nella mia proposta formativa.

Oggi mi sono limitata a raccontarvi di una passione che cresce lentamente seppur in maniera incisiva, un giorno forse scriverò degli spettacoli a cui parteciperò e dei benefici di quest’arte catartica. 

Vi invito a svolgere questo esercizio per allenare la vostra spontaneità e dare spazio alla vostra voce creativa: aprite un libro e con gli occhi chiusi puntate il dito su 7 pagine diverse e segnatevi la parola che trovate sotto il vostro dito, in 10 minuti scrivete un testo che contenga le parole trovate. Non ci crederete, i risultati saranno incredibili, se vi metterete in gioco la mente creativa prenderà il posto della mente logica e il flusso creativo avrà inizio, svilupperete autoironia e scoprirete parti di voi che non aspettavano altro che un vostro segnale per svegliarsi dal lungo sonno.

Di seguito trovate due testi scritti durante il laboratorio, mi è piaciuto da matti sperimentare. C’è anche la “Fata Marela” della dolce Marcellina, una compagna del laboratorio.

La prossima volta che scriverò un articolo sul teatro inserirò anche gli audio, intanto buona lettura!

Apro gli occhi!

Apro gli occhi, sento il corpo che comincia a svegliarsi. Il cuore sta ancora aspettando un segnale che lo desti. Ecco che arriva una vibrazione, che come una danza, lo accompagna in un movimento sinuoso e gli trasmette un’emozione: quella dell’arrivo di un nuovo giorno.

La giornata continua a scorrere e ogni incontro è una vibrazione, una frequenza, una danza armoniosa.

Ci sono anche vibrazioni strane, che non ti aspetti emergano dal tuo profondo.

Mi trovo in un luogo dalla natura incontaminata: cascate, geyser, ghiacciai, prati vastissimi…  Le strade sono infinite e ampie, non si incontra anima viva per centinaia di chilometri. Sarà stata l’”assenza” dell’uomo, la presenza dominante della natura o ancora i miei ormoni impazziti per la vita che stava crescendo dentro di me, quella del mio amato figlio, ma oltre alla bellezza del luogo mi arrivava tanta tristezza, un deserto dell’anima!

Il vecchio e le pantofole!

Un due e tre, stella, ambarabà ciccì coccò…

Una bimba dai grandi occhi azzurri canticchiava spensierata mentre il nonno in ginocchio le allacciava delle scarpe buffe e strane, sembravano delle pantofole.

Molto lentamente, l’uomo dalla lunga barba bianca, si voltò verso di me e mi guardò con i suoi occhi penetranti e neri come la pece.

Ad un tratto tutto divenne scuro e la voce della bambina sempre più lontana…Un due e tre, stella, ambarabà ciccì coccò…
Mi ritrovai catapultata in un angolo recondito della mia memoria.

Da bambina, in occasione di un viaggio, dopo aver disfatto il bagaglio non trovai le mie pantofole. Ma non è possibile, urlai dentro di me, ricordo perfettamente di averle messe in valigia. Cercai in ogni angolo della camera d’albergo, anche nei posti più improbabili: sopra il lampadario, dietro il bidè, sotto il materasso…Che sciocca che sono, come potrebbero essere arrivate le pantofole in questi posti insensati.

Ad un tratto, da un angolo buio della camera, scorsi una lucina fievole e immobile che pian piano divenne sempre più grande e abbagliante. Non avevo paura, non cercai di scappare, anzi mi avvicinai ancora di più e… Ma, non è possibile, non posso crederci, ma, ma, non è verosimile, dalla luce comparve proprio lui, stropicciai gli occhi più volte, era l’anziano dagli occhi penetranti. Ma sei tu, sei proprio tu, mi hai aiutato a ritrovare le mie pantofole e hai evitato che la mamma mi sgridasse. Con gli occhi chiusi, per assaporarmi più intensamente quel momento, lo abbracciai e poi all’improvviso, non sentii più il suo corpo tra le mie braccia.

Aprii gli occhi e mi ritrovai in un parco immenso e verde, con tanti alberi, fiori e una luce raggiante, l’anziano di spalle con la nipotina per mano, si voltò e mi sorrise.

La Fata Marela di Marcellina!

Il postino Piero era fermo davanti alla casa della fata Marela e suonava ripetutamente la campana del portone. Ma nessuno uscì da quella porta, anche se lui aveva creduto che in quella casa ci fosse qualcuno. Invece in quel momento “fata Marela” si trovava nella casa in fondo al viale. Nella casa del Re.

Non era un vero re, ma tutti lo chiamavano così. Il re stava sempre davanti ad una grande lavagna a scrivere…parole, parole, parole.

Marela seguiva i movimenti della mano del Re che faceva danzare il gessetto bianco e assorbiva una formula Magica che un giorno lei stessa avrebbe saputo pronunciare!

© Aldo Lanfranco: tutte le foto tranne quella della Basilica e del volto con i capelli scapigliati.